Sono diversi i racconti dell’Antico Testamento rimasti famosi nella storia: a partire dalla Genesi, i primi versi, “E luce fu”; l’arca di Noè; Mosè che apre le acque… Episodi riproposti in infinite varianti nell’arte, nella letteratura, nel cinema. Alcuni di questi racconti ci pervengono anche nella dimensione proverbiale: quando, per esempio, in una competizione sportiva un atleta più forte sfida uno più debole ma è inaspettatamente quest’ultimo a vincere, si parla di ‘Davide contro Golia’.[1] Tra questi racconti proverbiali uno dei più famosi è quello legato alla torre di Babele. Oggi si dice ‘è una Babele’ per definire un qualcosa di confusionario, rimandando alla confusione dei popoli che Dio scatenò contro gli uomini colpevoli di aver cercato di raggiungerlo con una torre.

Come spesso avviene, però, si utilizza una espressione senza conoscere la vera fonte, in questo caso il passo biblico che parla della fatidica torre. Questo si trova al capitolo XI del libro della Genesi, e recita così:

Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall’oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono […]. Poi dissero: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: “Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l’inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro”. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e li disperse su tutta la terra.

L’interpretazione di questo passo ha da sempre fornito moltissimo materiale a teologi, esegeti e anche antropologi, interessati tanto al significato teologico del passo quanto al suo contenuto storico. Pertanto, dovendo esporre in breve l’interpretazione della torre di Babele, sarà necessario presentare pochi elementi fondamentali.

Prima di tutto, dov’è ambientato il racconto? Il testo biblico ai primi versi dice: “emigrando dall’oriente capitarono in una pianura nel paese di Sennaar”. Che regione sia Sennaar è ancora oggi una domanda aperta. Non c’è altro testo antico che la documenti se non la Bibbia, dove viene citata otto volte. Ma verso la fine dell’episodio si legge: “per questo la si chiamò Babele, perché il Signore confuse la lingua di tutta la terra”. Il nome Babele deriverebbe quindi dalla radice ebraica BLL, che dà origine al termine ‘confusione, disordine’. Ora, dato che Babele è un altro nome della più famosa Babilonia—anche se in Sumero il significato di quest’ultima è ‘città della porta’—si è potuto intuire che Sennaar non sia altro che uno dei nomi della Mesopotamia. Quindi una torre a Babilonia.

Del resto Babilonia era una tra le città più famose del mondo antico per le sue enormi torri a gradoni, le ziqqurat, e nel mondo antico viene ricordata anche per essere stata la sede dei Giardini Pensili, una delle meraviglie del mondo. Gli ebrei avevano dolorosamente conosciuto le enormi ziqqurat durante il loro periodo di cattività a Babilonia (VII-VI secolo a.C.) sotto il re Nabucodonosor II. Il testo biblico (che racconta, naturalmente, eventi di secoli e secoli prima) testimonierebbe dunque il passaggio degli ebrei in Mesopotamia e il loro stupore nei confronti degli imponenti monumenti babilonesi.[2] Ma oltre ad essere il simbolo del potere dei sovrani mesopotamici, per i prigionieri di Israele quelle torri che si ergevano fino al cielo erano il simbolo, come lo era Nabucodonosor, dell’arroganza e della superbia umana.

In effetti, l’esegesi di questo passo veterotestamentario, tanto quella rabbinica dei Midrash[3] quanto quella cristiana, muove su due fronti: da un lato la superbia degli uomini, dall’altro il compiersi di un disegno divino. Partiamo da una premessa. Al capitolo X della Genesi è scritto:

 Da costoro derivarono le nazioni disperse per le isole nei loro territori, ciascuno secondo la propria lingua e secondo le loro famiglie, nelle loro nazioni.

E ancora, più avanti:

Queste furono le famiglie dei figli di Noè secondo le loro generazioni, nei loro popoli. Da costoro si dispersero le nazioni sulla terra dopo il diluvio.

Questi due passi, che precedono l’episodio della torre, vengono intesi da alcuni studiosi come ‘errori’, o meglio, ‘sviste’ del testo biblico, dato che sembrano scontrarsi con l’affermazione di Genesi XI: “tutta la terra aveva una sola lingua”. Ora, nell’Antico Testamento sono presenti in diversi punti delle sviste, ma in questo caso l’affermazione di Genesi X non contraddice quanto viene raccontato successivamente. Per prima cosa, infatti, il testo biblico non procede sempre secondo il senso cronologico degli eventi, e dunque l’affermazione di Genesi X sarebbe una semplice anticipazione di quanto effettivamente avviene in Genesi XI. Inoltre, questa anticipazione nasconde il volere divino di disperdere l’umanità dopo la sua ricostituzione al seguito del diluvio universale.

Gli uomini della futura Babele avrebbero dunque peccato sia volendo raggiungere Dio con un’opera grandiosa e superba che avrebbe dato loro fama, sia per aver contrastato il volere divino nel resistere la dispersione. Il Signore, dunque, adirato con questa nuova umanità che non tarda a peccare, decise di colpire gli uomini confondendo ciò che li teneva uniti e permetteva loro di comunicare: la loro lingua. Gli uomini, dunque, non riuscendo improvvisamente più a capirsi, abbandonarono la costruzione della torre e si dispersero nel mondo per popolarlo.

L’esegesi cristiana ha fatto di più: nella sua volontà di unire l’Antico al Nuovo Testamento, ha collegato l’episodio della torre e quello neotestamentario della Pentecoste, al capitolo II degli Atti degli Apostoli. Il famosissimo episodio riguarda l’apprendimento miracoloso degli Apostoli di tutte le lingue del mondo. Per testimoniare la parola del Signore e la venuta di Cristo, Dio stesso, tramite lo Spirito Santo, concedette ai ministri della fede di poter padroneggiare tutte quelle lingue che, migliaia di anni prima, lui stesso creò  per punire e confondere l’umanità. Anche in questo, per gli esegeti cristiani, si vedrebbe la perfetta continuità tra la parola di Israele e quella del Nuovo Testamento e il loro reciproco completarsi. Se Babele era confusione, la Chiesa diventa unità.

Tornando alla torre di Babele, i recenti studi di antropologia hanno cercato di dare una spiegazione maggiormente storica e scientifica di quanto viene raccontato in Genesi XI. Per fare ciò, oltre ai ritrovamenti archeologici, utilissimo risulta il confronto con altri miti e leggende di paesi culturalmente vicini al popolo ebraico.

Tralasciando alcuni miti di culture troppo lontane da quella ebraica, ma che hanno motivi di straordinario interesse,[4] particolare è la leggenda indiana relativa alla nascita delle lingue. Secondo questo mito, esisteva un albero della vita il quale, volendo proteggere tutti gli uomini, cercava di ergersi fino al cielo e di allargare i propri rami su tutto il mondo. Ma Brahma, considerando empia la volontà dell’albero, tagliò i rami e li gettò sulla terra. Dai germogli di questi rami sarebbero nate le differenze culturali, di fede e, soprattutto, di lingua. L’episodio, seppur diverso da quello biblico, svela alcuni punti in comune con questo: la presenza di un qualcosa di alto che raggiunge il cielo; un atto empio; la confusione delle lingue come mezzo per la dispersione dell’umanità. La creazione delle lingue sarebbe dunque sentita come un avvenimento negativo, una punizione inferta dalla divinità contro la superbia umana. In realtà, nella potenza divina o nei diversi eventi straordinari, le varie culture hanno cercato di dare una spiegazione ad un qualcosa che per loro al tempo, ma anche per noi oggi, era stranissimo ed estremamente affascinante: l’esistenza di così tante lingue nel mondo, una vera e propria Babele!


[1] Questa espressione deriva dall’episodio contenuto nel primo libro di Samuele. Il popolo di Israele era da anni ormai in guerra con i Filistei, tra i quali svettava per forza il gigante Golia, che nessuno riusciva a sconfiggere. Fu allora il giovane Davide, umile pastore di Betlemme, che, forte della fede nel Signore, riuscì con una semplice fionda ad abbattere il gigante e ad infliggere così una pesante sconfitta ai Filistei.

[2] Alcuni archeologi hanno cercato di ritrovare la torre di Babele, identificandola con la ziqqurat di Etemenanki.

[3] Con il termine Midrash s’intende un metodo di esegesi biblica dei rabbini che cerca di trovare il significato più profondo del testo biblico oltre il significato più semplice (peshat in ebraico). Per trovare questo significato più nascosto, i rabbini spesso erano portati ad aggiungere ed inventare particolari non presenti nel testo biblico.

[4] Alcuni miti meso-americani e polinesiani raccontano della tentata costruzione di una gigantesca torre da parte degli uomini, impresa che sarebbe stata punita con la dispersione della stessa umanità tramite la confusione delle lingue.


L’immagine di copertina è tratta dal quadro La grande torre di Babele di Pieter Brueghel il Vecchio (1563).

2 pensieri riguardo ““Confondiamo la loro lingua”: l’interpretazione della torre di Babele

  1. Bab + ilu non mi pare sumero, ma in lingua semitica mesopotamica o accadico, vuol dire ‘porta divina’. I Persiani invasero più tardi quei territori, non sapevano più dove fosse Babilonia, ormai dimenticata e sepolta, ma ne ricordavano l’antico nome e fondarono una nuova città col nome che ricalcava l’antico: Baghdad, in antico persiano ‘porta divina’ .

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  2. Grazie per l’aiuto! Non ho mai studiato altre lingue antiche oltre il latino, il greco e l’ebraico, pertanto per le etimologie asiatiche spesso è necessaria una consultazione, che può essere spesso inesatta.

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